Dalle competenze locali a quelle centrali, e viceversa: il caos della cartografia italiana
Quando, decenni fa, si decise di trasferire alle Regioni molte competenze nazionali, si pensava di risolvere una serie di problemi legati alla documentazione cartografica del territorio. Il risultato?
Gli Organi Cartografici Nazionali si liberarono in fretta e furia delle proprie responsabilità, limitandosi alla cartografia su scala nazionale, mentre le Regioni si ritrovarono a gestire il dettaglio all’inizio senza un reale coordinamento. Sono passati cinquant’anni e ciò che rimane è un disastro che vale la pena analizzare.
Da un lato, l’autonomia regionale ha portato alla degenerazione del settore. Come denuncia Attilio Selvini, esperto del campo: "La (bassa) politica si impossessò della nuova cartografia, fonte di posti lucrosi e prestigiosi, e fu il caos: diverse le scale, i formati, i riferimenti, insomma tutto al piacere del più politicamente forte al momento." In altre parole, il solito teatrino italiano: spartizioni di poltrone, logiche clientelari e zero visione strategica. Il risultato? Una cartografia disomogenea, arretrata e spesso inutilizzabile.
Nel frattempo, mentre l’Italia affondava nella propria inefficienza, l’Unione Europea percorreva la strada opposta, imponendo armonizzazione e standardizzazione per garantire l’interscambio dei dati tra Stati. Basti pensare alla gestione dell’inquinamento di un fiume che attraversa più Paesi: senza regole condivise, l’analisi dei dati diventa impossibile. Mentre l’Europa insisteva sulla standardizzazione con la direttiva INSPIRE, le Regioni, ma anche le amministrazioni centrali, continuavano a produrre dati geospaziali ognuna per conto suo, senza una logica comune. (Continua a leggere l'editoriale).
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