il primo "drone" fotogrammetrico

il primo "drone" fotogrammetrico

Era la fine del secolo, anzi del millennio. Eravamo nella grande aula magna dell’Università Tecnica di Stoccarda, in Keplerstraβe. Molti i partecipanti ad una delle ultime “Photogrammetrische Woche” biennali, governate da Carl Zeiss sin dall’origine.

Accanto a me c’era Friedrich Ackermann, che sino al ’92 era stato direttore dell’Istituto di Fotogrammetria ed ora ne era felice pensionato, Ci si dava del “tu” (duzen, in tedesco) sin da quando era stato, ospite del professor Luigi Mussio e mio, nel Politecnico milanese (ne parlo nel mio librino “Topografi e fotogrammetri fra cronaca e storia”, edito da Maggioli. “Fritz” aveva due anni meno di me). Sul palco vi era un nuovo oratore ed improvvisamente si alzò per aria una specie di giocattolo con motori ad elica, un vero ma piccolissimo elicottero, fra lo stupore dei presenti ma non di Fritz che ne era ben a conoscenza. 

Oggi purtroppo tutti parlano di droni, senza saperne la storia ma ben consci che si tratta di strumenti letali, che giungono a frotte sui fronti ucraini e del Libano recandovi morte e distruzione. Ne dirò qualcosa, ma di quelli fotogrammetrici soltanto; ne ho già parlato molto nei miei articoli e nei miei libri. 

Noti negli ambienti militari USA sin dalla metà del ventesimo secolo, questi “giocattoli” vennero detti, a partire dal 1945, “droni”, ovvero laggiù “ape maschio” o “fuco” che dir si voglia, sostantivo già prima usato per aerei senza pilota. Così come dissi nel libro di Fotogrammetria scritto con il collega Franco Guzzetti e pubblicato dalla allora ben nota UTET di Torino proprio nell’anno 2000, a cavallo dei due millenni, era nata negli “States”, la cosiddetta “SFAP” (Small Format Aeriaol Photography) che impiegava camere generalmente nel formato (60 x 60) o minori come le classiche (24 x 36). Si usavano come piattaforme palloni frenati, aerei ultraleggeri o addirittura anche modelli giocattolo telecomandati. Con l’inizio del millennio nuovo e col sorgere, alla faccia dell’ONU, di guerre sempre più vaste, soprattutto gli USA costruirono veri droni da combattimento, usati qua e là nel povero Medioriente: nella figura in alto un modello recente.

A questo punto, mi si lasci ricordare un bel film degli anni Sessanta: Il volo della fenice (The Flight of the Phoenix) diretto da Robert Aldrich: mi si permetta anche di riassumerne una piccola parte. 

Durante un volo di trasferimento l'aereo di una compagnia petrolifera statunitense, un bimotore da trasporto Fairchild C-82 Packet, condotto da Frank Towns, un pilota veterano di guerra ormai in declino e afflitto dai rimorsi, e dal suo ufficiale di rotta alcolizzato Lew Moran, segue la rotta che lo deve portare da una stazione estrattiva a Giarabub in pieno deserto libico a Bengasi. A seguito di una violenta tempesta di sabbia che intasa i motori, il capitano Towns è costretto a un atterraggio di fortuna.

A questo punto Dorfmann, uno dei passeggeri, propone un'idea a prima vista pazzesca: smantellare il relitto dell'aeroplano, utilizzandone i componenti per realizzare un velivolo più piccolo, in grado di portare in salvo i superstiti. Dapprima oggetto di scherno e incredulità, la proposta appare via via l'unica speranza di salvezza, soprattutto alla luce delle misurazioni e dei calcoli elaborati dal suo ideatore, la cui professione è quella di ingegnere aeronautico.

Un'ulteriore sorpresa attende però Towns e Moran quando, parlando casualmente del suo lavoro di disegnatore, Dorfmann rivela candidamente di essere un progettista di aeromodelli spiegando che però il principio di funzionamento è lo stesso di un vero aeroplano; il progetto è ormai in stato avanzato e Towns suggerisce a Dorfmann di non rivelare agli altri che costruisce "giocattoli". Questo scatena nuovamente l'ira di Dorfmann, che considera un aeromodello qualcosa di molto diverso da un giocattolo. Rimasti in sette, i superstiti infondono le loro ultime energie nel completamento dell'aereo e alla fine, dopo un'intensa sequenza di tentato riavvio del motore tramite cartucce, Towns riesce a decollare portando in salvo tutti ed atterrando in un'oasi.

Come non pensare che Dorfmann fosse l’antesignano dei produttori di droni? Son passati circa trent’anni da quella “PhoWo” della quale ho detto inizialmente, e l’uso (per fortuna!) anche fotogrammetrico dei droni è ormai cosa comune che ha contribuito, con altre vicende ed invenzioni, a modificare la fotogrammetria (e la topografia) del nuovo millennio. Un mare di sigle ha inizialmente inondato la prassi dell’impiego dei droni:, ovvero questo unmanned aerial system: UAS, UAV, RPAS, VLOS, VTOL….ma poi si è deciso universalmente di usare solo RPAS, ovvero Remotely Piloted Aircrcraft System dato che il volo è sempre controllato da terra. 

Qui sotto vengono indicati i vari dispositivi usati:

  • strutture ad ala fissa,
  • strutture rotanti,
  • palloni
  • aquiloni
  • dirigibili

Nella figura 2, i primi due tipi sopra indicati; sul modello ad ala fissa, a sinistra il sensore GPS e a destra la camerella. Al volo provvedono autopiloti prodotti da varie aziende: Micropilot (Canada), 3D Robotics (USA), AeroSpy (Austria) e altre; dimensioni e peso sono veramente modesti: in figura 3 uno di tali arnesi. Dalle immagini e dai dati della camera (per esempio Canon S95, Canon S100) e dalle informazioni GPS/INS si ottengono modelli 3D del terreno e modelli metrici della camera, oltre alla georeferenziazione. Con l’elaborazione si ottengono DTM e DSM, ortomosaici, volumi, profili e curve di livello e ogni altro dato tipico delle consuete restituzioni fotogrammetriche digitali. 

ala fissa

Ala rotanteFig. 2. Sopra, RPAS ad ala fissa, sotto, ad ala rotante 

 

Ovviamente sono necessari adatti permessi per l’esecuzione dei voli da RPAS, comprendenti le quote ammissibili, le estensioni delle zone riprese e quelle non sorvolabili. In Italia, l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile - ENAC - con delibera del C.d.A. Nr. 42/2013 in data 16/12/2013 ha stabilito un regolamento per chiunque utilizzi mezzi aerei a pilotaggio remoto. Le regole dettate dall'ENAC devono essere osservate quindi anche dai soggetti che realizzano riprese aeree con l'utilizzo di questi mezzi volanti, soggetti che debbono aver seguito corsi di formazione corrispondenti, conseguendo i relativi brevetti.

RPASFig.3. Dispositivo autopilota

 

La disponibilità di droni fotogrammetrici e di programmi relativi, sta rivoluzionando anche la normale topografia di dettaglio, sostituendo o alternandosi alla celerimensura.

Si veda la figura 4: questo tratto di segnali stradali ha incertezza del centimetro, e si ottiene facilmente con presa da una cinquantina di metri. 

segnali droneFigura 4. Segnali stradali da drone

 

Per gli scopi topografici e cartografici, quelli che sino ad oeri erano tipici della celerimensura, sono oggi disponibili a prezzi inferiori a quello di un teodolite elettronico, droni “tascabili” che fanno di tutto, come quello in figura 5.

drone accessoriFig. 5: Un drone completo di accessori

 

Chi avrebbe pensato, ancora verso la fine del ventesimo secolo, di ordinare una presa aerea per rilevare un manipolo di case in territorio di montagna? Si sarebbe fatto ricorso alla celerimensura e basta. Vent’anni dopo, il dipartimento ABC del Politecnico milanese ha rilevato, nell’ambito di un corso estivo, un piccolo villaggio in Valformazza, ovviamente con drone. La figura 6 ne dà una sommaria idea.

ortofoto esacotteroFig. 6. Presa da esacottero. Ortofoto e particolari derivati con prese terrestri.

Ecco la fotogrammetria di oggi! Si pensi che non servono più nemmeno i classici punti di appoggio a terra; la posizione e l’assetto delle prese sono definiti con l’incertezza necessaria anche per la restituzione a grande scala, dai sistemi già noti e sperimentati vent’anni fa, così come si dice per esempio nell’articolo Fotogrammetria diretta e tradizionale: un test di confronto pubblicato sul n° 2 /2008 della Rivista del Dipartimento del Territorio. 

 

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